La Search Engine Optimization è una delle discipline “tipiche” del web. Dal momento che Google è la principale fonte di traffico di quasi tutti i siti, è importantissimo per i siti garantirsi di essere trovati in relazione a ricerche con determinate parole chiave. Questo si ottiene attraverso una serie di tecniche, che vanno dall’organizzazione dei contenuti del sito, al codice html presente nelle pagine, al traffico del sito e (naturalmente) alla pertinenza tra contenuti e oggetto della ricerca. Altro aspetto importantissimo è la popolarità di un sito, che Google misura in particolare contando il numero di altri siti che linkano a quello “listato” nei risultati di ricerca.

Gestire e ottimizzare la popolarità di un sito porta gli “ottimizzatori” a cercare tutti i modi possibili di creare pagine – o addirittura siti – zeppi di parole chiave, che linkano al sito da ottimizzare.

Questa pratica è considerata piuttosto di confine tra quelle ammesse e considerate etiche. Google, tra l’altro, ha di frequente punito gli ottimizzatori che abusavano di queste pratiche, visto che andavano a “drogare” abusivamente i risultati naturali delle ricerche.

Ebbene, proprio in relazione al tema della popolarità relativa a determinate parole chiave, le strategie di SEO di una famosa azienda americana, J.C. Penney, sono finite al centro di un acceso dibattito in seguito di un articolo (nientemeno) del New York Times.

Il dibattito, in breve:

  1. Il NYT accusa – attraverso le informazioni di un’azienda specializzata in SEO – JCP di pratiche scorrette, che hanno assicurato al sito di primeggiare per le ricerche per svariati prodotti di abbigliamento, proprio nella stagione “calda” dell’e-commerce. Finché si trova J.C. Penney in testa per gli skinny jeans, ok. Ma se la si trova prima – davanti a samsonite.com – anche per Samsonite carry on luggage allora c’è qualcosa che non va.
  2. JCP risponde negando con forza le accuse e ironizzando sul fatto che il NYT abbia chiesto informazioni all’azienda concorrente dei consulenti SEO di JCP. Se il sito di J.C. Penney è al top è perché merita di esserlo!
  3. Il dibattito all’interno delle aziende specializzate in SEO si accende immediatamente: Search Discovery scrive un post sull’importanza di un ethical SEO e gli “ottimizzatori” iniziano a dibattere su cosa sia lecito e cosa no; su cosa i clienti tollerino e cosa no; su cosa Google ammette e cosa invece punisce.

La domanda da porsi a questo punto è: il fine giustifica i mezzi e rende tutto lecito? Probabilmente sì… finché l’arbitro non inizia ad arbitrare sul serio. E l’arbitro è naturalmente Google.